
Mario Meneguzzi è il nome di un uomo, per altro deceduto, che nel giallo, che dura oramai da 40 anni su Emanuela Orlandi non era mai apparso alla ribalta della cronaca. E inoltre si tratta dello zio della scomparsa (marito di Lucia Orlandi, zia paterna). Secondo il servizio del Tg LA7, qualche mese dopo la scomparsa della ragazza, l’allora Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli inviò, in via riservata, un messaggio per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano, inviato in Colombia da Giovanni Paolo II, che era stato in passato consigliere spirituale e confessore degli Orlandi. La missiva, sempre a quanto afferma l’inchiesta giornalistica, sollecitata dagli allora ambienti investigativi romani, voleva chiarire se il religioso fosse a conoscenza del fatto che Meneguzzi avesse molestato la sorella maggiore di Emanuela. E il religioso rispose in maniera affermativa.
Nella risposta al cardinal Casaroli, afferma ancora il servizio trasmesso nel Tg LA7, il religioso aggiungeva anche che la sorella maggiore di Emanuela era stata minacciata: doveva tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati, dove lo zio Meneguzzi, che ne gestiva il bar, l’aveva fatta assumere. All’epoca del rapimento Meneguzzi venne attenzionato dagli investigatori e pedinato da Roma a Santa Marinella, proprio nell’ambito della pista familiare, ma poi messa da parte dopo che lo stesso Meneguzzi si accorse di essere seguito e chiese aiuto a Giulio Gangi, agente del Sisde, che si occupò inizialmente della scomparsa. Meneguzzi fece intuire che aveva un ruolo rilevante nella vicenda. Poche settimane dopo rivelò, infatti, che era stato lui a nominare l’avvocato Gennaro Egidio, legale che è sempre stato considerato anche un appartenente ai servizi segreti del Sisde. Inoltre, rivela il Corriere della Sera, sarebbero stati proprio gli stessi rapitori a chiedere che i rapporti con la stampa passassero allo zio e la prima chiamata alla famiglia Orlandi sarebbe passata proprio a casa di Meneguzzi
Lettere e documenti sono ora finiti all’attenzione del promotore di giustizia e ai pm di Roma che da alcuni mesi hanno riavviato indagini sulla scomparsa. I titolari dei procedimenti hanno inoltre effettuato un confronto tra l’identikit, fatto dal vigile e da un agente di polizia, di un uomo visto a colloquio con Emanuela la sera della scomparsa e una foto dello zio, da cui emerge una notevole somiglianza. Chi indaga, sempre secondo quanto si afferma nel servizio del Tg LA7, ha dunque ripreso in mano tutte le carte della prima inchiesta e sta mettendo a confronto le dichiarazioni della sorella di Emanuela, che in un verbale presente nelle vecchie indagini raccontava degli abusi. Ora va capito perché all’epoca la pista familiare fu abbandonata.
La notizia ha suscitato le violente proteste del fratello Pietro Orlandi e una dura dichiarazione del legale Laura Sgrò: Nessuno ci ha avvisato della messa in onda del servizio e, nel corso di una conferenza stampa, avremo modo di spiegare il nostro pensiero su tutto questo.
Il fratello della scomparsa ha letteralmente scritto su Facebook: Oggi ho capito che sono delle carogne. Hanno deciso di scaricare tutto sulla famiglia, senza vergogna, mi fanno schifo. E poi ha dichiarato: Nessuno ha chiamato né me, né mia sorella, né i figli di mio zio. Non siamo stati sentiti dalla Procura di Roma, né da nessuno. Mi auguro che questa commissione parlamentare parta e svergogni chi oggi miserabilmente ci ha infangato, conclude Pietro, che annuncia l’intenzione di chiedere di incontrare privatamente Papa Francesco