
Sono passati tredici anni dalla riunione del 9 e 10 maggio del 2010 quando all’ Ecofin fu deciso di istituire il Mes un meccanismo, che aveva l’obiettivo di garantire un’assistenza finanziaria a quelle realtà statali che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, avessero riscontrato delle difficoltà a finanziarsi sul mercato. Via via tutti gli Stati Ue hanno ratificato il trattato, tranne l’Italia. E ancora oggi, nel nuovo governo, ci sono spaccature su questo tema. Ieri, dopo l’incidente della mancata maggioranza del governo in Commissione Bilancio al Senato, si è consumato l’ennesimo scontro sia all’interno della coalizione, sia tra gli esponenti della Lega.
Da una parte FdI è contrario alla ratifica, che fa parte della strategia di Palazzo Chigi. In realtà non ci sono pregiudiziali di tipo economico-finanziarie. La questione, per la Meloni, è squisitamente politica: la possibilità da parte dell’Italia di usare questa leva su vari tavoli di trattativa, dal nuovo Patto di stabilità alle regole dell’Unione bancaria, passando per il Pnrr.
Nella Lega la situazione è più complessa. Da una parte Il segretario Salvini che ha dichiarato più volte il suo no al Mes, ritenendo che occorre fidarsi del nostro paese, senza percorrere avventure che non si sa dove ci possano portare. C’è il Pnrr e i Btp italiani. Il segretario della Lega si chiede se l’Italia non sottoscriverà mai il Mes? Il leader si risponde che mai non appartiene al suo vocabolario, ma che il Mes non è utile e non è conveniente per l’Italia.
Al contrario il ministro dell’Economia Giorgetti, anche lui leghista, è a favore di questa ratifica perché non produrrebbe nuovi o maggiori oneri, non fa intravedere un peggioramento del rischio e anzi potrebbe portare a un miglioramento del rating dell’Italia. Come specificato in una lettera firmata dal capo di gabinetto del ministero dell’Economia, e inviata alla Commissione Esteri della Camera, non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione. Inoltre non si ha notizia che un peggioramento del rischio del Mes sia stato evidenziato da altri soggetti, quali le agenzie di rating, che hanno invero confermato la più alta valutazione attribuitagli, anche dopo la firma degli accordi sulla riforma. Rispetto alle prospettive degli altri Stati membri azionisti del Mes l’attivazione del supporto rappresenterebbe, direttamente, una fonte di remunerazione del capitale versato e, indirettamente, un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati. Una spiegazione tecnica che non cambia l’opinione della premier che non fa mistero di avversare la posizione del ministro del suo governo. In questo è supportata da parte della Lega come dimostra la dichiarazione del sottosegretario Davide Crippa, secondo cui il parere sul Mef ha la firma di un tecnico che fa un altro mestiere, ma la politica dice che il Mes non si ratifica. Ribadisce che la posizione della Lega è sempre stata chiara: il Mes non serve, quindi rimangono nella posizione contraria alla sua ratifica.
I problemi vengono per da Forza Italia che con il presidente della commissione Esteri, Giulio Tremonti, ha diffuso ai colleghi di governo due fogli protocollati il 14 giugno, per la ratifica del Mes, molto simili ai due progetti di legge dell’opposizione (uno del Pd, l’altro del Terzo polo). Si doveva votare per decidere quale portare avanti, verso la discussione generale in Aula a Montecitorio, prevista per il 30 giugno, dopo diversi slittamenti.
La commissione ora si è aggiornata. Maggioranza e Palazzo Chigi si sono presi 24 ore di riflessione, ma sembra che non sono esclusi nuovi rinvii, vista la situazione complicata che si è andata delineando nella maggioranza.