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    Radio K55

Psicologia

Se Telefonando

today05/03/2023 68 1 5

Background
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Se telefonando io potessi dirti addio ti chiamerei” cantava Mina nel 1966 sul testo di Maurizio Costanzo e Ghigo De Chiara.

Ho chiesto ai miei amici di radio K55, che allora erano ragazzini, di raccontarmi qualcosa di quegli anni intorno all’uso del telefono.

Diversamente da oggi il telefono sembra avesse un solo e degno uso, così mi hanno riferito. La possibilità del compimento più alto della sua utilità e della sua intera esistenza iniziava quando riuscivi a farti dare il numero di telefono della ragazza che volevi corteggiare. Ma era solo l’inizio. Dovevi poi procurarti un momento che la casa fosse vuota, oppure andarti a cercare la stanza più isolata per chiamare quella ragazza fronteggiando i suoi genitori che immancabilmente rispondevano per primi. La privacy era una faticosa conquista. Una telefonata dopo l’altra si costruivano le premesse di un incontro, di una vicinanza, di una storia. Nel 66 quelli erano i boomer che su un pezzettino di carta rubato ad una festa dove c’erano 6 o 7 numeri scritti di fretta, non esisteva manco il prefisso, mettevano le doverose premesse perché nascessero i Millennials o giù di lì.

A quella generazione il telefono non serviva ad altro o quasi, perché tutte le altre cose importanti avvenivano in presenza.

A questo proposito sono rimasto quindi molto incuriosito da una notizia di pochi giorni fa di cui vi voglio parlare oggi.

 Il Luddite club.

Dovete sapere che Luddite viene da Ned Ludd. Un uomo comune che diventò un simbolo di lotta proletaria alla introduzione delle macchine nei cicli produttivi, tipica della rivoluzione industriale, perché minacciava l’occupazione dei lavoratori. Wiki dubita della sua esistenza reale, ma io che c’ero, vi posso testimoniare che è tutto vero.

Dunque, Ned era un operaio tessile, un brav’uomo, timorato di Dio, come si diceva allora, ma quando gli prendevano i 5 minuti, sclerava di brutto, come si dice oggi. In uno di questi 5 minuti, era circa il 1799, o giù di lì, ora non ricordo bene l’anno e nemmeno cosa facessi da quelle parti, vi posso testimoniare che effettivamente prese a martellate il telaio su cui lavorava fino a distruggerlo urlando “morte alle macchine”.

In questo modo passò alla storia. Sì ma il Luddite Club direte voi ? Un attimo, lo so che voi andate di fretta perché la vostra data scadenza è ben più vicina della mia, che sta nel prossimo eone, ma io non ci posso fare niente. 

No more likes

Qualche giorno fa è stata riportata dai quotidiani nazionali una notizia stupefacente, che era uscita già a dicembre scorso sul New York Times, il cui titolo era “Luddite teens don’t want your likes” e la cui immagine di copertina è quella qui riportata. 

Un gruppo di ragazzi diciassettenni di Brooklyn, il distretto più popoloso di New York, ha rinunciato agli smartphone, scegliendo di utilizzare invece i telefoni di vent’anni fa, quelli che potevano solo telefonare e mandare SMS, per intenderci. Per parlarsi tra loro, quindi, non hanno scelta, o si telefonano come nel 66 o si incontrano di persona. Di loro, online, non vi è traccia. E infatti, l’usanza comune che si è affermata in questo gruppo è quella di incontrarsi nel tempo libero in un parco di fronte alla biblioteca della loro scuola, portandosi chitarre, libri, attrezzi per dipingere, eccetera. La mamma di Logan, la ragazza che ha dato il via all’iniziativa, ha battezzato questa strana congrega con il nome di Luddite Club. 

Come è potuto succedere ? Sembra che l’iniziativa sia conseguenza del disagio provato da questi ragazzi durante i lockdown per il Covid, dove risultava loro impossibile staccarsi dallo smartphone pur di rimanere in contatto con i coetanei. La questione è stata percepita addirittura in termini di salute mentale. 

Una ragazza di nome Logan 

Ma torniamo a Brooklyn e a quando la suddetta Logan, per un caso fortuito, perse il suo smartphone. Decise così di farne totalmente a meno, perché si era accorta che quell’oggetto aveva preso il sopravvento obbligandola ad assumere un’immagine di sé, per meglio apparire sui social, che poco aveva a che vedere con quanto sentiva di essere. 

Sono stati i genitori ad insistere che la figlia tenesse almeno un vecchio telefonino (erano a loro volta diventati dipendenti dal non poter sapere cosa facesse e dove fosse?). 

Un po’ come Ned Ludd, Logan ha cercato di coinvolgere i suoi amici nella possibilità di farne a meno ed eccoci qua a parlare del Luddite club ed a riflettere su questo benedetto telefono, amato ed odiato. 

Ma cosa dice la psicologia su questo tema ? il progresso tecnologico va preso a martellate come fece Ned? 

Cosa dice la gente.

Disponiamo oggi di una ricerca aggiornata e completa sulle opinioni d’uso delle diverse generazioni intitolata “gli Italiani e gli smartphone” all’interno delle attività del Safer Internet Day del 2023. il SID è un evento annuale, organizzato a livello internazionale con il supporto della Commissione Europea in ogni mese di febbraio. Ne hanno scritto in molti. I dati ottenuti sono organizzati per rendere confrontabili le diverse opinioni d’uso tra le generazioni, dai Boomer alla generazione Z, ovvero i Centennials (i nati fino al 2012).

Emerge che, dai Boomer alla generazione Z attuale, passando per i Millennial e la generazione X, aumentano progressivamente le percentuali in cui l’uso del mezzo origina da emozioni negative (noia e chiusura) mentre diminuiscono le emozioni positive (interessi e comunicazione). 

Come si spiega ?

Questi dati sono controintuitivi ma comprensibili se si pensa che un boomer ha avuto una vita intera per sviluppare interessi e appartenenze eterogenee utilizzando il telefono a partire da un solo fine, come abbiamo visto. Un Centennial trova nel telefono gran parte di tutti i suoi interessi e di tutte le sue appartenenze. Quindi non stupisce più di tanto. In ogni caso dalla ricerca emerge anche che lo smartphone è comunque un prezioso alleato per approfondire e imparare. 

Sono però più significativi i dati relativi al modo in cui i genitori regolano l’uso dello smartphone nelle diverse fasce dell’età evolutiva dei loro figli. L’uso in totale libertà, senza restrizioni né di tempo né di tipo di attività, viene consentito a un bambino di 6 anni nel 9% dei casi. A un bambino dai 9 ai 13 nel 35% dei casi. Dai 14 ai 17 anni nel 69% dei casi. Comunque a 10 anni, ovvero in 5 elementare, solo il 4% dei bambini non possiede uno smartphone.

Cose da adulti in mano ai bambini

Torniamo a Logan per un attimo, la ragazza del Luddite Club. Quella che a un certo momento si disgusta della sua immagine social veicolata dallo smartphone. A 10 anni il primo Smartphone, a 11 il primo profilo Instagram. In perfetta media statistica. Se una ragazza, forse più introspettiva di altre, si accorge che l’immagine di sé veicolata dall’uso libero dei social ha preso il sopravvento sul sentimento della propria soggettività, questo disagio è probabilmente comune, in una certa misura, a tutti i suoi coetanei nelle stesse condizioni d’uso dello smartphone. Il tema esistenziale di fondo in quell’età in cui si chiudono le porte sull’infanzia, dai 10 ai 14, l’età pre e post puberale, è dato dall’ansia di collocare se stessi, con la migliore posizione possibile, nel mondo dei coetanei, perché non è più possibile rifluire sulla personalità infantile che si collocava in famiglia. Un lavoro enorme sul piano dei vissuti emozionali. 

Ansie precoci

Quindi lo smartphone diventa inevitabilmente la porta di accesso di questo lavoro di ridefinizione di sé, perché gli altri ragazzi sono comunque tutti lì. In quel mondo virtuale delle chat e dei social passano molte delle comunicazioni significative per compiere questo lavoro. Logan non avrebbe potuto fare a meno a lungo dello smartphone senza riuscire a ricreare, come ha fatto, un mondo alternativo a quell’essere tutti lì, il parco davanti la biblioteca e i suoi amici.

Le neuroscienze ci aiutano a capire anche che a quell’età il cervello di un adolescente è molto plastico e questo li rende da una parte molto sensibili alle novità e all’apprendimento, dall’altra parte però molto vulnerabili. E’ questa l’età per l’esordio dei disturbi d’ansia, dei sintomi depressivi, dei disturbi alimentari, delle dipendenze e dei comportamenti autolesivi. Tutte le esperienze ripetitive di gratifica o di frustrazione offerte dai social rischiano quindi di modellare il cervello di un adolescente che finisce così per rispecchiare le estremizzazioni che passano attraverso questi canali. Il potere di un like non è da sottovalutare.

Il problema è cosa fare ?

Tutto ciò che si può offrire ai ragazzi, in questo periodo della loro esistenza, che si affianchi al mondo chiuso dell’equazione smartphone-social, riducendone lo strapotere, è perciò di grande utilità. Le funzioni regolative dei genitori/educatori diventano così cardinali in questo equilibrio. Regolazione non coincide con proibizione e nemmeno con permissivismo. Include il saper proporre opportunità differenti, ma anche il saper offrire un limite fino a renderlo accettabile al ragazzo perché ne riconosca il vantaggio. Sono queste le competenze importanti dell’adulto che ha a che fare con la generazione Z e successive. Logan è un caso stupefacente, forse unico, ma ci indica anche la difficoltà dei genitori/educatori a porgere questa funzione regolativa.

Una difficoltà che emerge anche dalle tensioni tra gli adulti stessi in merito all’atto di presentare il mondo alle nuove generazioni. Nei precedenti articoli abbiamo già trattato l’esistenza di queste tensioni tra genitori, famiglie ed istituti di formazione. 

Provare a regolare è meglio di proibire

Notizia di Gennaio scorso, a Seattle, dalla parte opposta dell’America rispetto a NY, tutte le scuole pubbliche della città hanno intentato causa contro i giganti dei social media: TikTok, Google (per YouTube), Meta (per Facebook, Instagram e WhatsApp) e Snap. L’accusa è di aver avvelenato i giovani con una vera e propria dipendenza da social. La tesi è che i vari disturbi psicologici giovanili connessi a questa dipendenza impediscono alle scuole di compiere la loro missione educativa. 

Le cause legali faranno spostare tanti soldi ma non inventano soluzioni. Questa funzione regolativa delle generazioni adulte ancora non è come potrebbe essere, oppure è troppo frammentaria.

Logan, infatti, impara a regolarsi da sé, al punto che i suoi coetanei si lasciano guidare da lei per imparare a regolarsi anche loro. Più adulti degli adulti stessi. Poi magari fra qualche anno avranno tutti in mano uno smartphone lo stesso, ma non ha importanza, sarà comunque diverso. Se hanno potuto fare questa esperienza di un moderno luddismo, di ribellione non verso la tecnologia ma verso il mito competitivo estremizzato in cui lo stesso mondo adulto è impantanato, allora hanno già svoltato. Hanno già cominciato a reinventare il loro mondo, liberandosi del nostro.

Se ci è riuscita Logan vuol dire che la strada è aperta e che le opportunità sono già presenti insieme ai rischi, solo non riusciamo a vederle.

Ne riparleremo.

Buon Universo a tutti.

Written by: mind_master

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