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    Radio K55

Psicologia

Informazione o deformazione ?

today26/03/2023 56

Background
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La notizia di cronaca scelta per l’articolo di questa settimana è … la cronaca stessa, ovvero l’eccesso di cronaca e i suoi destini terrestri. 

Il termine “infodemia” è stato coniato nel 2003 da un giornalista del Washington Post, David Rothkopf, nel tentativo di dare un nome ad un fenomeno diventato visibile in tutte le società tecnologicamente e mediaticamente avanzate. Il suo significato scaturisce dall’intersezione della parola “informazione” con “epidemia”. Rothkopf aveva introdotto questo termine per evidenziare come, al fianco della epidemia di SARS iniziata nel 2002, si era diffusa un’altra epidemia, quella delle informazioni errate o imprecise sulla malattia. Un neologismo di successo a giudicare dal fatto che è stato recentemente adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità proprio per mettere in guardia da quel fenomeno che ha accompagnato il diffondersi di un altro virus, il COVID-19.

Ma, pur risaltando durante le epidemie vere e proprie, si tratta comunque di un fenomeno connesso alla quotidiana iperproduzione di informazioni tipica della contemporaneità e dei modi in cui vengono messe in circolo. 

Ammalarsi di notizie

L’esplosione della numerosità delle fonti informative con l’avvento degli smart-phone, social e app incluse, di cui Rothkopf non immaginava neanche l’esistenza, ha reso profetica la visione del giornalista americano. Ne consegue che il tema di una produzione informativa irrituale e di una circolazione rapidissima di ogni tipo di informazione, diventa sempre più attuale. Se, quindi, l’infodemia è connessa in modo strutturale ad alcuni aspetti delle comunicazioni sociali della contemporaneità, nella sua metafora sanitaria, alla lunga, quale genere di malessere comporta ? quali ricadute sulla salute psichica della popolazione che ne è affetta ? 

Esattamente come per gli eccessi alimentari che producono una fatica digestiva e nel tempo la comparsa di intolleranze se non di allergie, anche le informazioni possono produrre condizioni di malessere. Sono stati recentemente coniati termini come News Fatigue (affaticamento da notizie) e News Avoidance (evitamento totale di rapporto con le notizie) per indicare quegli stati e quei comportamenti secondari all’eccesso nella circolazione di notizie, soprattutto notizie di cattiva qualità. Esattamente come quando ci si alimenta di cibo spazzatura anche le informazioni in eccesso e di cattiva qualità possono indurre malessere nelle persone, soprattutto in quelle persone il cui sistema “digestivo” delle informazioni, il pensiero critico, non è ben attrezzato per selezionare ed elaborare il cibo della mente nella qualità e quantità appropriate.

Questioni di contenuto ma anche di forma

Ma quale tipo di pensiero è possibile? Forse quello che si manifesta con le modalità con cui una notizia viene presentata su un quotidiano di medio livello ? Il titolo deve colpire il lettore quindi della notizia viene esaltato l’aspetto sensazionalistico, che spesso non aiuta a capire il fenomeno. Se la notizia è drammatica spesso si indulge sui dettagli del dramma della vittima, giustificando purtroppo quell’espressione sempre più comune per indicare questo modo di fare cronaca: la pornografia della notizia.

Oppure il pensiero stimolato dalle notizie che circolano sulle app dei vari social ? Come tanti cavalli di troia, entrano nei nostri spazi più privati quando vogliono loro. Attivano i nostri telefonini e si impongono alla nostra attenzione anche quando non siamo nella condizione di prenderci un momento per riflettere quanto stiamo leggendo e magari per confrontarlo o verificarlo. 

Oppure ancora, le notizie che circolano nelle ristrettezze dei tempi del linguaggio televisivo ? per esempio le Breaking News eternamente condannate ad arrivare prima ? Ma se la notizia è diventata un prodotto da vendere sarà costruita per fare pensare o, piuttosto, per vincere la competizione tra prodotti ? Sono due scopi totalmente diversi.

Tempo al pensiero 

Difficile pensare in queste condizioni. Non del tutto impossibile ma difficile. Perché la persona possa sviluppare l’abitudine ad esercitare un pensiero critico occorre avere un tempo per accogliere e sostenere la sensazione di incertezza che ogni vera novità porta con sé. Solo partendo dal confronto con l’esperienza dell’incertezza è possibile un vero pensiero critico su quanto ci circonda. Ma in TV, per esempio, chi presenta incertezze perde subito sex-appeal, non buca lo schermo, ma anzi è da questo bucato, reso invisibile. 

Occorre quindi scegliere un media (come la radio per esempio) che abbia una natura trasformista, mobile, adattabile alle diverse situazioni di una giornata e quindi anche all’esigenza di poter fare più cose nello stesso momento. Il media televisivo tende a sequestrare l’attenzione dell’individuo che però si vendica di questo sequestro tenendo in mano il telecomando. Ecco che il linguaggio televisivo assume tempi veloci, senza pause, per evitare il temuto cambio di canale. Ma questo non è il tempo della vita, non corrisponde al tempo dei nostri processi mentali cognitivi ed emotivi. E’ un tempo artificioso, costretto nella garrota “costo per minuto” dei tempi televisivi. E’ come l’esecuzione di una sinfonia perfetta in ogni nota ma con tutte le pause abolite. Avrebbe un effetto brutalizzante sull’ascoltatore.

Il pensiero come funzione del sistema immunitario

Occorre invece che il pensiero si svolga in un tempo che sia anche uno spazio. I cui confini siano creati dall’attività pensante stessa, che deve poter svariare, tornare, confrontare, collegare. Le cui domande non siano trattate come un buco da riempire prima possibile da una risposta che ha lo scopo di liberare subito dalla inquietante presenza di ogni dubbio su cosa è giusto o sbagliato. Ma che possano lavorare come fanno le buone domande quando non vengono subito tappate. Se una domanda è veramente buona si vede dal fatto che, nel tempo, indipendentemente dalla risposta che si è potuta individuare al momento e di quelle seguenti, è in grado di generare altre domande, più significative e più essenziali di quelle da cui si è partiti.

Quindi il pensiero può funzionare come anticorpo dell’infodemia e proteggere dal malessere che si produce nell’incontro con le notizie della quotidianità, solo se non ha la pretesa di spiegare tutto, tollerando di lasciare in sospeso almeno alcuni aspetti del problema e aspettando che le soluzioni migliori abbiano tempo per maturare ed emergere.

Buon Universo a tutti.

Written by: mind_master

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