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    Radio K55

Psicologia

Per un pugno di vocali

today12/07/2023 93

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Dunque è successo ancora, prima o poi doveva ripetersi. 

Dopo la polemica sorta nell’Aprile 2021 quando il Comune Di Castelfranco Emilia, aveva fatto uso dello schwa nei post dei propri canali social, è di nuovo successo.

Questo comune piazzato tra Modena e Bologna, 33 mila abitanti, decise in quella primavera di utilizzare la e rovesciata, “ǝ”, come lettera conclusiva di alcuni termini. Ovvero, una desinenza neutra per sostituire tutti quei finali di parole dal genere neutro, oppure che indicano un attributo di più persone dal genere misto. Finali di parola per cui viene correntemente usato il genere maschile nella cosiddetta modalità sovraestesa. 

“Buonasera e tutti” diventa così “Buonasera a tuttǝ”. Dove il suono di questa “ǝ” (a metà tra una “a” e una “o” direi) non appartiene alle vocali della lingua italiana mentre è addirittura la vocale più usata nella lingua inglese. But in inglese non si pronuncia Bat ma Bǝt. Addirittura in “Elisabeth”, tutte le vocali, tranne la i, si pronunciano “ǝ”. Idem per “Introduction” e così via.

Quindi un nuovo grafema e una nuova vocale nella lingua italiana. Non cosa da poco se consideriamo che le lingue vive si trasformano sempre, sono sempre in movimento, ma generalmente ciò avviene utilizzando grafemi e fonemi già esistenti nella lingua o nel dialetto di uso comune. Ci vuole una pressione culturale forte per introdurre una novità così radicale. Prendiamoci un momento per riflettere questo tema.

Chi ha paura della neolingua ?

La polemica di due anni fa aveva trovato sostenitori e detrattori di vario genere. Il sindaco PD della cittadina, aveva allora precisato che l’uso dello schwa non sarebbe stato adottato in tutte le comunicazioni ufficiali ma si sarebbe limitato ai social. Nonostante ciò erano sorte importanti proteste.

Paolo Flores D’arcais, scrittore e direttore della rivista Micromega, ha considerato questo evento una vera e propria idiozia. Addirittura ha chiesto il permesso alla rivista online Linkiesta, politicamente posizionata in area diversa da Micromega, di riportare su Micromega, in data 19 Aprile 2021, un salace articolo da loro pubblicato a firma di Guia Soncini, giornalista nota per le sue prese di posizione provocatorie e sempre attentamente anticonformiste. Il titolo dell’articolo di Soncini non lasciava spazio a interpretazioni: “Rompere le filǝ: Ogni mattina uno schwa del villaggio si sveglia per imporci la sua neolingua”.

La sua rubrica su Linkiesta si chiama “l’avvelenata” e questo dice molto sul suo stile, come ad esempio: “…Pare infatti che io (che, non so se ne siate al corrente, ho le tette) mi senta esclusa ogni volta che qualcuno dice «Buongiorno a tutti»: tutti è maschile, perdindirindina, io vengo dunque cancellata dal consesso dei salutati? In realtà no, visto che in italiano esiste il maschile sovraesteso, ovvero i plurali maschili che includono anche le femmine in essi incluse. O almeno, così era finché la sanità mentale era la regola”.

Sanità mentale ! Diinngg ! chi ha detto sanità mentale ? 

Dunque, dopo i pareri “contro” andiamo a sentire un parere “pro” di una persona autorevole come Vera Ghena. Sociolinguista dell’Università di Firenze che, della proposta di adottare lo schwa per l’italiano, è considerata addirittura l’inventrice. Da una intervista a Tommaso Perrone del maggio 2021 si legge: “Chi denigra la questione linguistica, la denigra dicendo che sono “solo parole”. Molte persone sembrano dimenticarsi che noi esseri umani siamo fatti di parole. Le parole sono il mezzo attraverso il quale noi comunichiamo con gli altri, ma anche il mezzo attraverso il quale noi ci identifichiamo. Quindi le parole sono un fortissimo atto identitario. Non avere parole per definirsi è un problema, crea un problema di visibilità all’interno della società.”

La tesi di Gheno è che il linguaggio si modifica con il modificarsi della cultura. Una cultura che vuole essere inclusiva deve dotarsi di un linguaggio inclusivo e quindi una proposta di cambiamento in tal senso è pienamente giustificata (a questo proposito l’argomento è stato già proposto alla riflessione nel precedente articolo di Cronache terrestri “Includo o Escludo”). 

Secondo Gheno il maschile sovraesteso non è più adatto a identificare alcune realtà in un mondo dove ci sono stati due grandi cambiamenti:

1) Il desiderio di raggiungere una parità di genere

2) Le esigenze da parte di quelle persone che non si riconoscono né nel femminile né nel maschile.

Il maschile sovraesteso ha sovrastufato ?

In merito al primo argomento è certamente condivisibile che un cambiamento importante come quello riguardante la fine del confinamento femminile alle mansioni casalinghe o di allevamento della prole, e l’ingresso nella società del lavoro ai più alti livelli di prestigio e di complessità, si ribalti sull’evoluzione della lingua in modo importante e rappresentativo.

L’introduzione di termini quali avvocata, magistrata, cancelliera, procuratrice è del tutto legittima sul piano morfologico per le regole della lingua italiana, come fa ancora notare la Gheno. Anche l’uso di termini non declinabili per genere può comunque adattarsi all’evoluzione della lingua. Così oggi diciamo “la giudice”, “la preside”, “la presidente”, “la consulente tecnica”. 

In merito ancora al primo argomento rimane però aperta la questione dell’uso del maschile sovraesteso: “Buonasera a tutti” fa sentire escluse le donne ? Secondo Soncini e molte altre certamente no, secondo Gheno e altre ancora evidentemente sì. Gheno afferma: “Della problematicità del maschile sovraesteso si parla almeno da una trentina d’anni, dalle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana di Alma Sabatini del 1986”.

Qui entra in gioco una sensibilità soggettiva alla cultura di appartenenza che porta a leggere un valore escludente in un certo uso della lingua, oppure a non leggerlo come tale.

Occorre accettare lo stato di fatto di una coesistenza di diverse varianti culturali nella stessa cultura di nascita e appartenenza. Una coesistenza che può essere conflittuale ovviamente, come dimostrano Soncini e Gheno.

Un nuovo grafema per un nuovo concetto.

Mentre sul secondo argomento la complessità di quello che si sta trattando come un problema linguistico merita ben altre riflessioni. Infatti, ancora Gheno, intervistata da Cinzia Sciuto il 26 aprile 2021, sempre sulle pagine di Micromega, come risposta a Flores D’Arcais, dice: “la prima volta che mi è venuta in mente l’idea dello schwa (che poi ho scoperto essere una proposta che già circolava, per cui in verità non ho inventato proprio nulla) è stato in risposta a una persona che mi ha espresso il suo disagio nell’uso del maschile e del femminile a cui l’italiano la costringeva. Questa persona non si sentiva a suo agio perché non pensava a se stessa né come maschio né come femmina.”

Tema del tutto diverso da quello della rappresentatività dei ruoli sociali del genere femminile. Apprendiamo così dalle parole della Gheno che l’adozione dello schwa origina dal tentativo di rendere visibile, linguisticamente parlando, quella posizione identitaria di genere chiamata “non binaria”.

E’ probabilmente questa la vera ragione di introduzione di un grafema e di una vocale non esistenti. La cultura precedente non prevedeva la posizione non binaria di genere e quindi non era dotata di espressione linguistica corrispondente.

Per occupare uno spazio nuovo del pensabile, e quindi del dicibile, si devono usare strumenti radicalmente nuovi, altrimenti si confonde con l’esistente. O almeno così verrebbe da pensare. Ma ora leggiamo le parole di Cecilia Robustelli, Professoressa Ordinaria di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia che sempre dalle pagine di Micromega, qualche giorno dopo l’intervista della Gheno, aggiunge una riflessione importante sull’argomento.

Un ulteriore punto di vista

”In italiano (e non solo) le desinenze grammaticali non indicano il genere, inteso ovviamente come genere socioculturale, ma il sesso: la desinenza maschile e quella femminile ci dicono soltanto che il riferimento è a una persona di sesso maschile o femminile, e non danno alcuna indicazione sulla sua identità di genere. La morfologia della lingua italiana (ma non è la sola!) rivela il sesso della persona a cui ci si riferisce, non c’è niente da fare“.

Il ragionamento della Robustelli è fondato. É la biologia, il sesso, ciò che viene esplicitato dalle desinenze delle parole, non la cultura, l’identità di genere. 

Il sesso biologico è un’informazione importante. Sapere se una persona può essere incinta e se può morire durante un parto, se il suo ciclo ormonale e il suo desiderio sono regolati su un ciclo mensile o giornaliero, se può avere un figlio in un anno oppure se può avere 100 figli in un anno, sono cose che il linguaggio deve poter rappresentare in modo immediato. Perché sono cose che fanno tutta la differenza del mondo nelle pratiche di convivenza civile. Da quelle sanitarie a quelle legali, a quelle di frequentazione di contesti sensibili alle differenze sessuali ed altre ancora come le abitudini di consumo.

L’introduzione dello schwa vuole tutelare invece il vissuto di genere come se la specificazione del sesso non fosse inclusiva delle più numerose e varie possibilità di questo vissuto. Ma questa è un’attribuzione di senso valida solo per chi intende la specificazione del sesso estensiva dell’identità di genere. Mentre l’evoluzione culturale in corso sarebbe già matura per sganciare l’una dall’altra. Ad esempio: Sono maschio ma amo in modo non binario, sono femmina ma amo in modo non binario. Nel dire invece, sono “non binario, ovvero né maschio né femmina”, c’è la fantasia di poter prescindere da una parte importante della propria costituzione corporea, genetica, organica, funzionale e tutte le grandi conseguenze connesse nelle pratiche di convivenza.

Il sapere di una lingua

La Robustelli comunque prosegue e incalza così: 

”Dopo il lungo percorso socioculturale compiuto dalle donne, per tacere di tutte le misure istituzionali varate per la loro valorizzazione, sarebbe opportuno cercare con tutti i mezzi di rappresentarle nella lingua in modo da riconoscerne la presenza anziché cancellarle. Ma c’è di più. Sostituire le desinenze grammaticali con un simbolo cancella oltre al genere anche il numero: salta così definitivamente l’accordo grammaticale, strumento indispensabile per riconoscere i rapporti logici fra parole all’interno del testo”

In conclusione, lo schwa attribuisce alla specificazione del sesso biologico il rischio di gettare un’ombra sulla specificazione dell’identità di genere. Un po’ come se la preoccupazione fondamentale fosse invece quella di sdoganare e far accettare nelle tradizioni culturali le posizioni non binarie perché questo forse è il vero argomento difficile, il vero oggetto di contesa.

Ma allora, del non binario, ne vogliamo parlare sì o no ?

Si capisce ora perché l’iniziativa del Comune di Castelfranco Emilia abbia suscitato tante polemiche. E’ proprio la possibilità nascosta del riconoscimento della scelta non binaria che crea sconcerto, nel momento in cui esce dal contesto dove è nata, ovvero quello delle culture giovanili, e si rende visibile proponendosi come modo di essere per l’intero vivere civile. Il mondo adulto che riconosce, anche solo in modo embrionale, nei social, la possibilità di un’identità non binaria. Lo stesso mondo che ha sempre funzionato intorno alla distinzione nitida tra genere maschile e femminile, trattando ogni eccezione come una malattia o comunque un fuori norma.

Il sindaco di quel comune, leggendo le cronache, sembra che, abbia cercato di minimizzare l’importanza della sua scelta, ma forse non si è reso conto della portata del suo atto.

Maturità che passione !

Questo accadeva 2 anni fa, ma perché abbiamo iniziato l’articolo dicendo che è successo di nuovo?

Nell’arena mediatica, c’è stato un sostanziale silenzio sullo schwa dall’aprile del 2021, fino a che un ragazzo, nel corso della prova di italiano della maturità 2023, ha adottato lo schwa. Gabriele Lodetti, intervistato al proposito, ha riferito:

“Tra di noi è un linguaggio che è iniziato a essere di uso comune – racconta – Tutti noi abbiamo compreso l’importanza di usare negli interventi un plurale inclusivo e io stesso quando faccio interventi e parlo degli studenti non riesco a dire studenti senza dire studentesse…Nelle prime righe per non ripetere sempre ‘cittadini e cittadine’ ho usato lo schwa mettendo una nota sul tema che potesse spiegare il simbolo”.

e conclude così:

Quindi serve una riflessione in un mondo dove le parole acquistano sempre più importanza singolarmente, dove i testi scritti sono sempre più brevi e gli slogan sono paroline messe là”.

Il ragazzo riferisce la ragione della sua scelta alla possibilità di correggere il problema dell’uso del maschile sovraesteso. Ma anche alla praticità che un’espressione più sintetica rispetto a formule onnicomprensive, risponda meglio alle modalità delle culture giovanili che prediligono testi brevi e contratti.

Rimane in piedi la questione del non binario. 

Tema di cui si tende a non parlare molto, forse perché è troppo rivoluzionario e sconvolgente per l’intero modo di pensare degli umani e per le loro millenarie tradizioni. Le quali, anche se vengono costantemente rinnovate, affondano le loro radici in tutto il passato vicino e lontano che le ha precedute.

Torneremo sull’argomento certamente, perché le implicazioni di questa possibile svolta culturale nel sentimento di genere sono molto complesse, partono da lontano e accennano ad un futuro sconosciuto e misterioso. La cronaca di tutti i giorni non mancherà di darcene occasione. A presto.

Buon Universo a Tuttǝ !

Written by: mind_master

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