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    Radio K55

Psicologia

L’assassino è sempre il maggiordomo ( o forse no ).

today23/04/2023 36 5

Background
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Le due notizie scelte a commento di questa settimana terrestre riguardano ancora il tema delle nuove generazioni e delle ansie che si sperimentano ad essere giovani umani.
La prima racconta della cerimonia di inaugurazione del 632esimo anno accademico dell’Università di Ferrara. E’ qui accaduta una cosa analoga a quanto già trattato nel primo articolo della rubrica Cronache Terrestri (Eccello o precipito).
In questo articolo si trattava dell’Inaugurazione dell’anno della Università di Padova, che aveva suscitato scalpore perché la presidente del consiglio degli studenti, nel suo discorso, aveva citato i suicidi che avvengono nel contesto universitario. A Ferrara, invece, la presidente degli studenti UniFe, Alessandra De Fazio, ha fondamentalmente ripreso la critica verso i criteri performativi della cultura universitaria, già fatta dalla sua collega di Padova, ma pur non mettendo l’accento sui suicidi, è comunque andata su tutti i giornali lo stesso, perché era presente all’inaugurazione il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La seconda notizia riguarda invece un’occupazione di un liceo milanese, il Manzoni, dove, a seguito di un sondaggio interno sono emersi dei risultati che mettono in risalto come su 10 studenti, almeno 7 vivano l’incontro con la formazione in modo fortemente connotato di ansia e di paura di sentirsi svalutati.

Le due notizie hanno una base comune?

Sentiamo le parole usate in questi due eventi.
Alessandra De Fazio: “mi sono sentita fallita per due anni, dopo aver sbagliato per due volte il test di ammissione a Medicina
Il collettivo del Liceo Manzoni: “(Il voto)… viene percepito come un fallimento se non addirittura un’umiliazione, non perché siamo troppo suscettibili, ma perché la narrazione che ci viene imposta è quella di dover sempre dimostrare di essere all’altezza, anche per guadagnarsi il rispetto di chi ci ha di fronte, di chi con quel voto ci ha etichettato”.
Ricorre, quindi, la parola fallimento, che però sembra essere carica di immaginazione, e quindi di irrealtà. Perché è strano temere il fallimento ad un’età in cui bisogna ancora completare la conoscenza di sé, almeno come interessi, predisposizioni e talenti. Per certi versi, è come esigere da se stessi di vincere una gara senza averla ancora iniziata.
Però non possiamo cavarcela dicendo che chi usa queste parole è eccessivamente ansioso, cioè che è un caso particolare, perché l’evidenza della ubiquità di questi sentimenti è sotto gli occhi di tutti.

E’ un problema individuale o sono sentimenti comuni in qualche misura ai più ?

Ascoltiamo ancora le loro parole. Alessandra De Fazio: “Ed è anche sbagliato dire che questi pensieri li deve decostruire il singolo: è compito della società far capire che non superare il test di ingresso a Medicina non è un fallimento“.
Il Collettivo del Manzoni: ”Studiare dovrebbe essere sinonimo di crescita e scoperta di sé. Eppure, per tanti ragazzi e ragazze, lo studio più che fonte di arricchimento e passione, finisce per essere sinonimo di ansia, frustrazione e sofferenza e molti studenti subiscono il peso della competizione con i propri compagni e del giudizio attraverso il voto.”
La tesi qui affermata con chiarezza è che si tratta di un problema collettivo, anche se, come nel caso dei suicidi citati a Padova, alcuni comportamenti sono evidentemente connessi ad un assetto dell’equilibrio individuale che predispone verso atti così estremi ed incongrui.
Effettivamente, quanto sostiene il Collettivo è ragionevole. La naturale motivazione esplorativa di ogni essere umano dovrebbe far sì che l’incontro con un’occasione di formazione e con persone che vogliono trasferire la loro conoscenza alle nuove generazioni, di per sé, dovrebbe essere un luogo connotato da interesse, partecipazione, collaborazione, addirittura gratitudine potremmo pensare, rispetto al fatto che un giovane sia lasciato a badare a se stesso, senza aiuti. Fino agli inizi del secolo scorso la possibilità di formarsi, oltre il ciclo di studi della scuola primaria, era considerata un’opportunità, una grande fortuna rispetto ad un destino di lavoro giovanile di bassa qualità. Oggi, la formazione superiore sembra sia diventato il luogo dove, al contrario, fare esperienza di una qualche forma di alienazione, alienazione da sé e dagli obiettivi formativi, sia da parte degli studenti che degli insegnanti.

E’ un problema esclusivo delle istituzioni formative oppure è un fenomeno più ampio ?

Ascoltiamo ancora Alessandra De Fazio: “Non siamo più disposti ad accettare senso di inadeguatezza, depressione o perfino suicidi a causa delle condizioni imposte da un sistema malato che baratta la persona per la performance”.
Alt, fermi tutti, la parola performance ricorda qualcosa che va oltre il momento formativo. Infatti, l’abbiamo già incontrata nella puntata radiofonica dedicata alla Boiler Summer Cup e ne abbiamo già parlato nell’articolo dedicato agli abbandoni nelle carriere sportive (Agone che Passione!). Nella puntata radiofonica si parlava di una compulsione alle performance di competizione sessuale generata spontaneamente dalle culture giovanili stesse. Nell’articolo invece era emersa un’evidenza: sui bambini che esprimevano talenti sportivi, tali da essere immersi precocemente in un contesto agonistico, finiva per ribaltarsi in modo fortemente intrusivo l’ansia di performance degli adulti.


I maggiordomi sono tanti

Queste due occorrenze della compulsione alla performance non hanno a che vedere in modo esclusivo con le istituzioni formative. Anzi potremmo intravedere una competizione tra le tipologie di istituzioni stesse. Prendiamo ad esempio ancora le parole del Collettivo del Manzoni:“Per molti docenti gli interessi al di fuori della scuola sono superflui. Gran parte degli studenti sono incoraggiati ad abbandonare le proprie attività extrascolastiche per dedicarsi interamente allo studio”. E ora confrontiamole con le parole pronunciate da un istruttore e riferite da una “farfalla” della ginnastica artistica come già citato nell’articolo suddetto: “La miglior ginnasta è orfana, perché non ha genitori che si impicciano, e ignorante, perché non va a scuola”.
Quindi abbiamo scoperto che dietro la parola performance si nascondono molti maggiordomi. Alcuni creati dai ragazzi stessi. Addirittura abbiamo scoperto che quasi ogni componente del sistema culturale in cui gli umani sono immersi è, in qualche misura, affetto dal terrore del fallimento e dalla compulsione all’eccellenza come unico modo di percepirsi riconoscibili e riconosciuti e quindi in definitiva vivi, esistenti. Come se l’unica certezza del diritto ad esistere come umani dovesse totalmente essere riconosciuta ed autorizzata al di fuori dell’individuo stesso, in genere espressa attraverso numeri o classifiche, piuttosto che dalle sue stesse percezioni, dalle sue attività e dagli effetti che le sue attività generano su chi lo circonda. Un bel paradosso.

Colpo di scena: l’assassino è forse la ristrutturazione stessa della casa degli umani ?

Stiamo accennando al fatto che sono in corso allo stesso tempo diverse linee di rinnovamento di ciò che sta a fondamento delle culture umane più avanzate. Le cui conseguenze non sono ben chiare oggi perché non si sono ancora stabilizzate.
Una parte di questo rinnovamento riguarda i modi in cui vengono trasmessi i valori tra le generazioni. Con tutti i fenomeni rivoluzionari che caratterizzano il XX secolo (abbattimento mortalità infantile, allungamento della vita attiva, diminuzione del tasso di fecondità, ritardo nell’uscire dalla famiglia d’origine, competizione per le risorse tra le generazioni, diffusione pervasiva dei supporti tecnologici individuali, ecc..), appare evidente che i riferimenti culturali collettivi inscritti nelle tradizioni delle vecchie generazioni non sono più utili alle nuove generazioni. Questo processo ha probabilmente a che fare con lo spostamento progressivo di valore sull’individualità a scapito della collettività, sulla preparazione sociale all’avvenire come mezzo di realizzazione del singolo individuo. L’eccellenza della dimensione individuale sembra stia diventando l’unico obiettivo dotato di valore in una società ipermoderna. L’aspirazione a soddisfare i bisogni e desideri nella sfera del privato viene gradualmente a prendere il posto del desiderio a realizzare ideali collettivi. Da qui le parole successo e fallimento diventano preminenti nell’implicito di tutte le relazioni sociali. Sono parole accentate in modo particolare e questo accento sembrerebbe ancora poco integrato al reale benessere dei terrestri nei loro diversi cicli di vita.

La crisi del patto generazionale.

Che tutto ciò abbia preso di sorpresa l’Umanità, per la velocità in cui questi cambiamenti stanno avvenendo, è evidente anche dalla reazione che hanno messo in opera le comunità terrestri che a livello politico sono ancora organizzate diremmo… in modalità arcaiche. Una reazione fobica verso le tendenze di rinnovamento intraprese dalle culture ipermoderne. Basta riflettere a quello che recentemente è avvenuto in Iran, una regione della Terra dove, in opposizione ai veloci sviluppi delle culture giovanili, sono stati adottati comportamenti repressivi estremi, proprio per la paura di mettere in discussione il modo in cui le differenti generazioni vogliono negoziare il rinnovamento di valori della modernità e il dialogo stesso tra le generazioni. E ancora una volta, la sede di espressione privilegiata del conflitto è stata la scuola.

Il problema è complesso, occorrerà rifletterci ancora e la prossima volta ci occuperemo del ruolo che la psicologia cerca di svolgere nel dare il suo contributo a governare questa instabilità.

Cari ascoltatori e lettori di tutte le galassie Buon Universo a tutti!

Written by: mind_master

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