Radio K55
Data di pubblicazione: 06/10/2024 alle 12:51
In fondo, sono solo omicidi prêt-à-porter !
Al rientro dall’estate ci eravamo ripromessi di tornare a riflettere sui fatti di cronaca nera che hanno agitato le ferie degli umani. Era opportuno aspettare che si spegnesse l’eco dai quotidiani nazionali. L’obbligo competitivo sulla tempestività della pubblicazione espone sempre la cronaca ad un rischio. Quello di assomigliare ad avvoltoi che si precipitano sui resti nelle azioni tragiche delle relazioni umane. Anche quelle più intime, come le relazioni familiari. Un rischio che accompagna ogni attività di cronaca bene o male sia condotta.
Però non è che con la fine dell’estate il tragico si sia messo a riposo. I quotidiani continuano a raccontare sempre nuovi omicidi e non si può mai mettere un punto. In ogni caso questa estate abbiamo avuto:
Uno strano comportamento dei terrestri
Andando a vedere più da vicino, appaiono strani anche i comportamenti dei protagonisti che precedono, accompagnano e seguono questi delitti. Prima, motivazioni consce molto deboli o inconsistenti. Durante, una sostanziale inconsapevolezza della gravità di quello che sta per accadere. Dopo, uno stupore fino allo shock per la portata delle conseguenze, del tutto sottovalutata in precedenza.
Un dopo a cui è interamente demandato il compito di riportare il protagonista all’interno di una realtà umana condivisa, pur attraversando un lungo iter giudiziale e sociale, complesso e articolato. Quanto tempo c’è voluto perché i due ragazzi, protagonisti del delitto di Novi Ligure nel 2001, si potessero reinserire nella realtà. Realtà da cui, all’epoca del delitto, si erano scollegati per vivere in un mondo proprio di ideazioni al limite dell’oniroide.
Uno di questi ragazzi risulta ancora oggi alle prese con iter giudiziali per fatti successivi. Quindi, gli omicidi di cui parliamo possono con buone ragioni essere valutati dalla prospettiva psicopatologica esclusivamente della persona che li compie. Ma occorre farlo solo con una conoscenza approfondita della loro natura ed esperienza. Non è questa la sede. Inoltre, anche la valutazione psicopatologica non sempre riesce a chiarire il mistero che accompagna questi comportamenti. Non si può avere la pretesa di spiegare tutto degli umani. Perdonatemi, io almeno non ci riesco.
E’ però possibile qui riflettere sulle forze collettive che inclinano al gesto tragico chi per storia, o per natura, o per momento di vita, vive rasentando il crinale della violenza.
Comunque non è un problema di alte temperature
Infatti, dopo l’estate, a Settembre, abbiamo riscontrato lo stesso tema nel ragazzo minorenne che ha dato appuntamento ad una donna matura per un incontro intimo. Ma dopo, l’ha picchiata violentemente e strangolata. Si è poi scoperto che in precedenza aveva cercato sul web notizie su come uccidere una persona a mani nude, come se si trattasse di assumere informazioni tecniche su un gioco.
Diverso è stato l’omicidio di un uomo marocchino a Viareggio che aveva sottratto una borsa dal sedile di un auto guidata da una donna. L’autrice dell’omicidio è pienamente inserita nella vita cittadina, ma il modo con cui ha ucciso quest’uomo ha destato scalpore. Le telecamere di una banca hanno svelato che, dopo il furto, la donna, ritrovato l’uomo che camminava ignaro, lo ha prima volontariamente investito con il SUV schiacciandolo contro la serranda di un negozio e poi lo ha più volte rimesso sotto le ruote anteriori per assicurarne la morte. Dopo, è scesa dall’auto, ha recuperato la borsa e senza curarsi dell’uomo se ne è andata in modo apparentemente tranquillo e rilassato.
Se mi gira male ti metto sotto
Qui la protagonista non sembra essere stata catturata in una dimensione onirica, ma l’assoluta tranquillità del suo comportamento riporta a quella stranezza di cui sopra.
Non c’è proporzione tra rilevanza della motivazione e gravità di gesti così violenti. Non c’è misura tra valori in gioco e indifferenza nel considerare la vita dell’altro. Non c’è equilibrio tra cura per i propri interessi ed effetti radicalmente autolesionisti del proprio agire.
Sempre a Settembre, ecco una donna che mentre guida riconosce il suo ex compagno in compagnia della segretaria e li investe mentre sono in auto. Per fortuna nessun ferito grave. Chissà cosa sarebbe successo se li avesse incontrati mentre attraversavano la strada. Invece, notizia di due giorni fa, a Mestre, un commercialista litiga con due tossicodipendenti e poi li investe con il SUV. Uno dei quali è ancora in gravi condizioni. Non è stata accertata con sicurezza la volontarietà, ma intanto il capo di imputazione è tentato omicidio volontario.
Se la Marvel dovesse pubblicare il primo numero dell’Uomo Ragno oggi, invece che nel 1963, lo disegnerebbe sicuramente in una posa audace alla guida di un SUV, piuttosto che farlo arrampicare su improbabili pareti di palazzi grazie a quella ragnatela anche un pò schifosetta. Che cattivo gusto!
Radicalizzatevi dunque, senza paura !
Sembrano comportamenti pronti da indossare, come un abito alla moda. Mi sento oppresso nel diritto alla libertà dalla mia famiglia? me ne libero facendoli fuori. Devo dimostrare a me stesso e al mondo che non ho paura di nulla? Faccio vedere che posso uccidere chiunque senza esitazioni. Mi devo fare giustizia di un piccolo torto ricevuto ? Cancello l’onta subita con la vita altrui, così mi rispetteranno tutti. Mi stai un tantinello antipatico ? ti metto sotto col SUV e non ci penso più.
Una moda di radicalità estrema davanti a qualsiasi cosa si ponga di fronte al soggetto con la sfrontatezza di limitarne lo spazio di affermazione individuale. La radicalità allora diventa l’abito di moda da indossare. Un abito che mi autorizza ad azzerare il valore dell’altro, azzerare il significato del gesto che sto compiendo e perfino azzerare la preoccupazione per le conseguenze nella mia vita. Cosa che in fondo, per qualche attimo, gasa un sacco, perché si sovrappone bene con lo sprezzo della vita degli antichi guerrieri greci e successivi.
Pronto da indossare
Se nella moda l’Haute Couture è il prodotto del sarto che taglia un capo su misura inventando ogni volta qualcosa di inedito, il prêt-à-porter è l’alta moda indossabile da chiunque perché di confezione industriale e taglia standardizzata. Così, sembra che gli umani attingano ad una collezione di comportamenti standardizzati. La moda del momento consiste nella radicalità della reazione di fronte ad un ostacolo. Come dimostrano i conflitti di guerra che infiammano il globo terraqueo, dove ad ogni aggressione la risposta deve essere tanto più aggressiva, non importa se la sproporzione è grottesca. Oppure i conflitti competitivi per la corsa a vincere le elezioni di uno stato moderno, degno esempio di radicalismi culturali di ogni tipo. Oppure ancora i conflitti comunicativi dei salotti televisivi di commento all’attualità, abitualmente animati da espressioni che più radicali non si può.
Tutta questa ricerca di definizioni radicali del proprio comportamento, e quindi di se stessi, viene messa in relazione da alcuni osservatori della contemporaneità con il bisogno di compensare l’instabilità e l’incertezza delle definizioni identitarie, ovvero di quel sentimento, magari approssimativo, magari fluttuante, sempre instabile, che corrisponde al sapere, o credere di sapere, chi si è.
La domanda della sfinge : Chi sono ?
Leggete questo brano:
Declinandosi sempre più nell’apparire, l’individuo impara a vedersi con gli occhi dell’altro. Impara che l’immagine di sé è più importante della sua personalità. E dal momento che verrà giudicato da chi incontra in base a ciò che possiede e all’immagine che rinvia, e non in base al carattere o alle sue capacità, tenderà a rivestire la propria persona di teatralità, a fare della sua vita una rappresentazione, e soprattutto a percepirsi con gli occhi degli altri, fino a fare di sé uno dei tanti prodotti di consumo da immettere sul mercato.
Si tratta di un pezzo tratto dal “La moda e i giochi di identità” nel testo “I miti del nostro tempo” del 2009 del filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti. Così continua…
In un mondo dove gli oggetti durevoli sono sostituiti da prodotti destinati all’obsolescenza immediata, l’individuo, senza più punti di riferimento o ancoraggio per la sua identità, perde la continuità della sua vita psichica… Priva di un mondo costante, durevole e rassicurante nella sua solidità, l’identità diventa incerta e problematica…
L’identità simulacro
Ma già nel 1981, il filosofo e sociologo Jean Baudrillard nel suo libro “Simulacra and Simulation” osservava come, nella società contemporanea, l’idea di identità diventi una costruzione fittizia, un “simulacro”. Ossia una copia senza un originale, che si sviluppa a partire dalle immagini e dalle rappresentazioni mediate dai mass media e dal consumismo. L’identità personale viene così svuotata di autenticità, ridotta a una serie di immagini, maschere o ruoli che l’individuo assume, ma che non corrispondono a un nucleo profondo e stabile.
Una serie di rappresentazioni artificiali finiscono per sostituire la realtà stessa. L’individuo diventa essenzialmente il prodotto di ciò che consuma e delle immagini che proietta perdendo il senso di sé autentico.
Cosa direbbe oggi Baudrillard, morto poco prima dell’ascesa di Facebook?
Venti anni dopo il testo del filosofo francese, sappiamo però cosa ha detto il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman nel suo celebre “Modernità liquida” del 2000. Nella società contemporanea, le identità personali non sono più ancorate a ruoli sociali stabili o a tradizioni consolidate, ma sono diventate fluide e in continuo mutamento. L’individuo moderno è costantemente esposto a cambiamenti rapidi e a una molteplicità di scelte che lo spingono a ridefinire continuamente se stesso. Il concetto di “liquidità” descrive una società in cui le strutture stabili e durature vengono costantemente messe in discussione e rimpiazzate da relazioni e identità fluide, mutevoli, che mancano di radici profonde. L’instabilità identitaria emerge come una delle conseguenze principali di questa condizione di incertezza e cambiamento costante.
Sotto il vestito niente
Il mondo della moda non è certo la causa dei radicalismi umani, ma si presta a mettere in rilievo una caratteristica della contemporaneità che si collega alle vicissitudini identitarie di cui abbiamo accennato. Nel 1985 uscì un film il cui soggetto era stato preso da un romanzo dal titolo “Sotto il vestito niente”. Una storia di omicidi, droga, diamanti e suicidi nel mondo della moda milanese.
Il film ebbe un certo successo di pubblico ma non era niente di speciale da un punto di vista artistico. La cosa più azzeccata però era il titolo. Inconsapevolmente, l’autore del romanzo aveva racchiuso in poche parole un’idea che esprimeva bene la caratteristica importante dei tempi a venire.
Leggiamo ancora Galimberti:
In una società opulenta come la nostra – in cui l’identità di ciascuno è sempre più consegnata agli oggetti che possiede, i quali non sono solo sostituibili, ma “devono” essere sostituiti – ogni invito alla moda è un appello alla distruzione…Si tratta di una distruzione che non è la fine… (ma piuttosto) Una fine che sin dall’inizio ne costituisce lo scopo.
I consumatori diventano così i garanti della mortalità dei prodotti della moda, che poi è garanzia della sua stessa immortalità. La moda diviene immortale proprio perché è sistematicamente efficiente nell’uccidere le sue creature facendole passare di moda. Era forse a questo a cui accennava il film Blade Runner che abbiamo trattato in un nostro articolo passato ? Vi ricordate l’idea degli androidi creati dagli umani ma con la data di scadenza a breve ? C’è un senso di onnipotenza nell’incessante creare e distruggere. Tanta onnipotenza. Che però lascia un senso di vuoto.
La Natura è di moda
Ma, si potrebbe obiettare, non è già forse la Natura orientata in questo verso ? leggiamo uno scritto del 1792 a cura di un certo poeta, Wolfgang Goethe :
Natura! Ne siamo circondati e avvolti – incapaci di uscirne, incapaci di penetrare più addentro in lei. Non richiesta, e senza preavviso, essa ci afferra nel vortice della sua danza e ci trascina seco, finché, stanchi, non ci sciogliamo dalle sue braccia. Crea forme eternamente nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna – tutto è nuovo, eppur sempre antico. Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri. Essa parla continuamente con noi, e non ci tradisce il suo segreto. Agiamo continuamente su di lei, e non abbiamo su di lei nessun potere. Sembra aver puntato tutto sull’individualità, ma non sa che farsene degli individui. Costruisce sempre e sempre distrugge: la sua fucina è inaccessibile… Il dramma che essa recita è sempre nuovo, perché crea spettatori sempre nuovi. La vita è la sua più bella scoperta, la morte, il suo stratagemma per ottenere molta vita… Alle sue leggi si ubbidisce anche quando ci si oppone; si collabora con lei anche quando si pretende di lavorarle contro… Non conosce passato né avvenire; la sua eternità è il presente… Non le si strappa alcuna spiegazione, non le si carpisce nessun beneficio, ch’essa non dia spontaneamente… È un tutto; ma non è mai compiuta. Come fa oggi, potrà fare sempre.
Dunque, la moda non farebbe che imitare la Natura con l’eterno ritorno dei cicli stagionali, le collezioni autunno inverno o primavera estate, dove la nascita del nuovo chiede in sacrificio la totale sparizione del vecchio. Ma, nell’ambito della storia umana, questa tendenza diventa un rischio per la salute psichica.
La caratteristica dell’umano è oltrepassare la Natura
La storia umana è proprio ciò che non deve ripetersi e non deve tornare, essendo questo ripetersi e questo tornare la catastrofe della irreversibilità valorizzatrice…
La coazione a ripetere che nella natura sta senza dramma…nell’uomo sta come malattia psichica…
La cultura ha introdotto nella natura quella forza che si chiama ethos primordiale della presenza, in quanto volontà di storia umana che si oppone alla tentazione dell’eterno ritorno.
Così si esprime l’antropologo Ernesto De martino nel suo testo “La fine del mondo” di cui abbiamo già parlato nell’articolo Quanto regge ancora Atlante ?
Questa è sempre stata la caratteristica propria e fondante di ciò che è umano. Sorpassare la crudeltà della Natura che impone il Divenire sempre e dovunque, per salvare degli angoli di Essere dove il senso degli umani possa sopravvivere e tramandarsi. Per creare un valore che non si sperda nel continuo avvicendamento e che dispieghi il senso della Storia. Il senso dell’umano deve vincere sul non senso dell’Eterno Ritorno, sull’apparenza di un eterno insensato presente, che è disperante e ammala la psiche degli umani.
All’opposto, il culto della novità e della trasformazione, della leggerezza e della mutabilità dei riferimenti, è l’effimero che avvolge e caratterizza la contemporaneità. Ma anche, deteriora la salute psichica degli umani.
Il radicalismo danza con l’effimero
Il sociologo e politico spagnolo Manuel Castells, in The Power of Identity (1997), analizza come i movimenti radicali emergano in risposta alla crisi identitaria della modernità, dove l’effimero e la frammentazione minano le tradizionali forme di appartenenza. Secondo Castells, il radicalismo può rappresentare una forma di resistenza all’alienazione e all’insicurezza identitaria, offrendo ai suoi aderenti una solida identità collettiva.
Castells faceva riferimento soprattutto ai fondamentalismi collettivi ma a distanza di 27 anni il valore di questa idea può essere esteso anche al piccolo, all’individuale e al quotidiano.
L’effimero può solo sostituirsi per intero al vecchio in modo appunto radicale, uccidendo il predecessore già nel proprio affermarsi. In analogia allo strano modo in cui alcuni umani uccidono oggi. Il radicalismo si svela quindi come l’altra faccia della medaglia dell’effimero.
Il motivo è che l’effimero è non sa ereditare dalle sue radici, non sa riconoscere le sue origini e custodirne i valori ancora attuali. Il vecchio così diventa immediatamente un valore negativo, un rifiuto, uno scarto. Vincolato dalla sua stessa leggerezza, l’effimero non può e non sa portare con sé ciò che del vecchio ha valore e andrebbe recuperato. E infatti la Terra, anche materialmente, si sta riempiendo di scarti che gli uomini inzeppano un pò dovunque.
Addirittura non sanno più come gestire i rifiuti che orbitano intorno al pianeta, prodotti dalle loro attività spaziali. Vedi ad esempio quanto riferito nella rivista online Ecomondo del 30 Agosto scorso.
Ma gli umani non sanno che noi alieni ci stiamo organizzando per restituirli impacchettati sotto forma di innocenti meteoriti! Sti Zozzoni ! Ah Ah Ah! Ogni tanto una battuta effimera ci sta proprio bene.
Buon Universo a Tutti !
Written by: mind_master
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