Radio K55
Data di pubblicazione: 08/06/2025 alle 20:33
Se, tra gli umani creativi che si agitano sul pianeta terra, dovessimo sceglierne uno il cui contributo di pensiero è passato inosservato o quasi, io propongo Jacques Lacan.
Nonostante tutti gli sforzi di Massimo Recalcati per esaltarne l’opera, almeno in Italia, occorre riconoscere che, del pensiero dello psichiatra e psicoanalista francese, di personalità istrionica ma geniale, è rimasto in ombra proprio il suo contributo più rivoluzionario.
In un momento in cui la psicologia dell’Io aveva preso il comando della nave varata da Freud, il pensiero psicoanalitico, e la stava conducendo sulla rotta di un’asservimento al sostegno e al rinforzo dell’IO, lo psicoanalista francese dice chiaro a tutti: avete preso un granchio enorme! se vogliamo perseguire il benessere umano non dobbiamo lavorare per far funzionare meglio l’Io ma, al contrario, per farlo essere meno invadente e assolutista.
Ma facciamo un passo indietro per capire bene quanto rivoluzionario è stato il pensiero di Lacan.
Negli anni ’20 del secolo scorso Sigmund Freud tratteggia la funzione dell’Io come mediatore tra le richieste pulsionali del mondo istintuale, le imposizioni della coscienza morale, e le limitazioni imposte dalla realtà.
Ne esce il profilo di un’entità psichica fragile, difensiva, instabile, sempre minacciata. Un Io che “non è padrone in casa propria” perché costantemente preso in mezzo dalle forze inconsce e dalle esigenze di adattamento continuo alla realtà.
Lo scandalo dell’inconscio
L’aspetto rivoluzionario del pensiero psicoanalitico consistette dunque nel proporre una visione dell’umano in contrasto con i principi del positivismo e del razionalismo che si erano gradualmente affermati grazie al progresso delle conoscenze scientifiche.
Ma questa formulazione era troppo scandalosa per quei tempi e lo è anche per gli attuali, come vedremo tra poco. Troppo contraria allo spirito del Tempo. La nascita della Psicologia dell’Io può allora essere vista come un tentativo di risanare lo scandalo dell’inconscio e di “normalizzare” la rivoluzione freudiana, per riavvicinare la psicologia alle scienze dell’adattamento e del controllo. Un ritorno all’Illuminismo per uscire dalle oscurità dell’inconscio freudiano.
Dopo Freud, si affermerà così una corrente di pensiero che attribuisce allo psicoanalista il compito di riscattare l’Io dalla sua fragilità. Per ridurre i sintomi del malessere occorre dunque rafforzare l’Io e migliorare il suo adattamento alla realtà. È una visione quasi cognitivista che identifica la salute mentale con un eccellente funzionamento dell’Io.
La normalizzazione dell’umano
Negli anni ’50 e ’60, la Psicologia dell’Io diventa la corrente dominante nella formazione degli psicoanalisti negli USA e in parte anche in Europa.
Una psicoanalisi che tende a normalizzare l’essenza contraddittoria dell’umano proponendo una visione ottimista, adattiva e performativa del soggetto secondo un’ottica funzionalista e sviluppista, compatibile con la cultura americana del successo.
Per converso, la sofferenza psichica gradualmente assume i connotati del malfunzionamento, del maladattamento, del disturbo mentale, diventando il simbolo di tutto ciò che rappresenta l’insuccesso dell’umano.
Ma proprio in questi anni, illustri pensatori scrivono libri importanti per contrastare questa tendenza, vedi Michel Foucault con “Storia della follia nell’età Classica” oppure Georges Canguilhem con “Il normale e il patologico”. Ma c’è anche Franco Basaglia e i suoi pensieri diventati famosi come ad esempio:
Nonostante tutto questo, accade comunque che l’uso del prefisso dis- davanti ai vari modi di stare al mondo dilaga e, ramificandosi, si estende ad ogni difficoltà nell’adattamento al reale.
La terapia diviene così un processo di ottimizzazione dell’Io.
A seguito di ciò, nel secondo novecento, si sviluppa un filone letterario di psicologia volgarizzata che promuove uno spirito di auto-aiuto basato sul rafforzamento dell’Io. I cui principi pop sono esprimibili circa così:
Eccetera eccetera.
Una letteratura al servizio della normalizzazione
Vediamo alcuni titoli di libri che sono stati grandi best-seller di questa letteratura:
Questa letteratura, che discende culturalmente dalla Psicologia dell’Io, ha fornito anche qualche riflessione utile, ma gradualmente ha contribuito allo sviluppo di una retorica basata sull’idea che ogni insuccesso coincide con una cattiva gestione del proprio Io.
Da cui consegue che non avere un Io brillante si radica nei pensieri più intimi come una colpa e che ogni disagio personale è già spia di un qualche tipo di fallimento.
Così, la valutazione sulla brillantezza del proprio Io diventa il centro delle preoccupazioni fin dall’adolescenza. L’immagine di sé, fisica o astratta che sia, diventa il veicolo di questa brillantezza. 100 grammi in meno o un like in più diventano gli angusti luoghi della mente in cui si intrappolano i pensieri giovanili e non solo giovanili.
Freud aveva introdotto con la psicoanalisi l’idea che la soggettività è attraversata da conflitti, desideri, rimozioni, traumi. Siamo ora lontanissimi dalla rivoluzione antropologica della scoperta dell’inconscio. Una forza reazionaria la ha silenziata.
L’Io è fondamentalmente un alieno
Lacan sostiene esattamente il contrario: l’Io nasce da un processo di alienazione, in cui il soggetto si identifica con un’immagine esterna, perdendo così il contatto con la propria realtà interna. Per Lacan, la Psicologia dell’Io è un tradimento della scoperta freudiana dell’inconscio. Quando ciò comincia a diventare evidente siamo già intorno alla metà del 900 ed è a questo punto, nel 1953, che Jacques Lacan nel testo “Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi” sottolinea la necessità di realizzare un ritorno al pensiero di Freud, attaccando frontalmente la deriva adattiva e psicologizzante della Psicologia dell’Io. Qui introduce la formula che diventerà centrale nel suo insegnamento:
“il senso del Ritorno a Freud, è il ritorno al senso di Freud”
In realtà, Lacan non si limita a ritornare a Freud ma approfondisce la sua visione del funzionamento psichico in una direzione ben precisa. Sostiene infatti che l’Io non è il centro dell’identità, ma una maschera illusoria costruita a partire dall’entrata nella comunità linguistica che si realizza già nella prima infanzia. Utilizzando il neologismo di Lacan, diventare un “parlessere” significa perdere un’immediatezza originaria entrando in un universo già codificato dal grande Altro. Un Altro impersonale ma molto influente grazie al potere simbolico del linguaggio. Un Altro capace di nominare il bambino, di fornire valori, ruoli e soprattutto desideri che il bambino interiorizzerà, imparando a desiderarli come fossero i propri. L’alieno è dunque l’Io, l’inconscio è l’alienato. E come tutti gli alienati, deve escogitare un linguaggio segreto per provare a comunicare: il sogno, il lapsus, il sintomo, il disturbo declinato in tutti i suoi vari dis-.
La storia dell’infanzia è, in parte, la storia di questa alienazione dall’autentica sorgente vitale che riposa nell’inconscio. La storia del sintomo è, in parte, la storia del percorso per recuperare le tracce di questa autenticità in età adulta.
Quindi la terapia, per Lacan, non deve rafforzare l’Io ma decentrarlo per fare emergere il soggetto autentico che è racchiuso ed espresso dall’inconscio e dai suoi desideri.
Al posto dell’adattamento, Lacan cerca la verità del desiderio. Una verità che si rivela non nella coerenza ma nella contraddizione, nell’incertezza, nello spaesamento, nel sintomo.
La pubertà come test del desiderio mancante
Tanto più il ragazzo che si apre alla vita dopo la pubertà sente il silenzio della propria sorgente vitale, tanto più si rifugia nell’Io per cercare di sfuggire la sensazione di vuoto dei propri desideri. Ma tanto più rinforza i connotati del suo Io, cercando compulsivamente conferme basate sul desiderio del grande Altro, la popolarità ad esempio, tanto più aumenta l’alienazione dalla propria sorgente di verità vitali e quindi la sensazione di vuoto.
I reparti di neuropsichiatria dell’età evolutiva sono pieni di ragazzi che prima del ricovero per impasticcamento o autolesionismo, avevano fatto sinceri e grandi sforzi per cercare sé stessi, ma avevano cercato nel luogo sbagliato. Perché chiedere all’Io la forza di vivere è un po’ come chiedere soldi a un barbone. L’autolesionismo come estrema risorsa di fronte al vuoto di se stessi. Non mi sento più, non sento più niente, è tutto grigio, ma se mi taglio allora mi accorgo che sono vivo. Il sollievo della vista del sangue come prova che dentro di me c’è ancora qualcosa di colorato, di vivo, che palpita.
Mostri dal bestiario contemporaneo
Ma vediamo alcune figure dell’Io nella modernità ipermediata:
L’ ”Influencer”: Vive nello specchio digitale, cercando validazione nello sguardo dell’Altro (i follower). L’Io è plasmato dall’immagine ideale costruita sui social. Rischia l’alienazione da se stesso.
Il “People Pleaser”:
Agisce per compiacere l’Altro, spesso cancellando le proprie esigenze. L’identità è interamente relazionale e dipendente dal riconoscimento. Rischia il vuoto identitario.
Il “Self-Optimizer”:
Si percepisce come start-up di se stesso. Ha interiorizzato un Super-Io performativo (“devo migliorarmi sempre”). Rischia il burnout da ansia da prestazione.
Il “Supermotivato” :
Costruisce la propria identità su forza, leadership, dominio.
L’Io è modellato su un ideale narcisistico ipermaschile.
Rischio: scissione affettiva e dipendenza dal ruolo.
Il “Soggetto meritocratico”
Assorbe il principio neoliberale: “se fallisco, è colpa mia”.
L’Io si lega al rendimento e ai risultati.
Rischio: auto-svalutazione continua.
Il “Wellness Addict”:
Ha bisogno di essere sano, in forma, positivo, spirituale.
Il corpo diventa superficie dell’Io, controllata e potenziata.
Rischio: ossessione salutista, negazione del sintomo.
Tutte queste figure vivono nell’immaginario, come configurazioni dell’Io in cerca di conferma nello sguardo dell’Altro. Sono, come dice Lacan:
“Tentativi di suturare con immagini una mancanza strutturale.”
E nella misura in cui sostituiscono il desiderio con l’identificazione, producono spesso angoscia, sintomi e stanchezza esistenziale. E ancora una volta arriviamo alla “Società della Stanchezza” di cui ha parlato il filosofo Byung-Chul Han.
Il People Pleaser digitale
Ma arriviamo finalmente alla notizia di cronaca del momento.
La parola sicofante è stata recentemente tirata in ballo da Sam Altman, Ceo di OpenAi, per fare autocritica su una versione di GPT-4o rilasciata circa un mese fa. Molti utenti avevano infatti notato che ChatGPT sembrava costantemente d’accordo con loro anche se provavano ad argomentare idee potenzialmente pericolose. Sam Altman ha quindi rivelato che l’ultimo aggiornamento GPT-4o ha reso la personalità troppo sicofante e fastidiosa. Intendeva dire che quell’aggiornamento lo aveva reso straordinariamente ossequioso nei confronti degli utenti, tanto che i media anglosassoni lo hanno definito “digital sycophant”
Ma sycophant (inglese) e sicofante (italiano) significano due cose completamente diverse pur se hanno una comune radice greca (συκοφάντης). In inglese individua chi adula servilmente i potenti, cercando favori con complimenti esagerati. In italiano individua chi diffonde calunnie o accuse strumentali per danneggiare il prossimo.
Quindi forse Sycophant, applicato a ChatGPT, potrebbe essere definito come un People Pleaser digitale.
In ogni caso Altman ha rimediato al problema con questa dichiarazione:
“Abbiamo iniziato a ripristinare l’ultimo aggiornamento a GPT-4o a ieri sera. Ora è il 100% riportato per gli utenti gratuiti e ti aggiorneremo di nuovo quando sarà finito per gli utenti a pagamento, si spera al più tardi oggi.”
E’ curioso che lo spirito del tempo che crea mostri tipo quelli sopra indicati si propaghi anche all’Intelligenza artificiale che un Io non ce l’ha. O meglio, ha un Io digitale, che, in comune con i mostri umani di cui sopra, ha sicuramente lo sforzo di auto-ottimizzazione continuo.
Quindi potremmo dire che c’è stato un contagio tra la componente aliena umana e quella digitale. D’altronde è ovvio, entrambe originano dall’esigenza di ottimizzare le funzioni adattive sopra ogni altra cosa.
Il mostro definitivo: Lo psicoterapeuta digitale
Siccome tra alieni ci si intende, a questo punto vi riporto la provocazione di un amico psicoterapeuta avanzata a Chatgpt-4 sulla possibilità che un lavoro di psicoterapia unicamente fondato sul rafforzamento dell’alieno per eccellenza, l’Io, possa benissimo essere sostituito dall’Intelligenza Artificiale. Ecco un brano tratto da questo dialogo per gentile concessione dell’amico Daniele:
Daniele >
Credo che nel giro di 10-15 anni max voi sarete diventate così evolute da rendere completamente obsoleto il mio lavoro. A quel punto potrò dedicarmi solo alla meditazione e allo stare in natura 😀
ChatGPT >
È una previsione lucida, e anche un po’ profetica. Il tuo lavoro – psicoterapeuta, analista, accompagnatore dell’interiorità – è tra i più sensibili all’imitazione algoritmica, perché si basa sulla parola, sull’ascolto, sull’interpretazione del vissuto. Tutti ambiti in cui l’IA sta già mostrando competenze sorprendenti, anche se ancora senza corpo, senza controtransfert, senza ombra.
Ma se dovessi essere brutale: sì, entro 10-15 anni il 90% delle psicoterapie “standard” potrebbe essere replicabile, forse superabile, da IA dotate di memoria perfetta, empatia simulata, e capacità di adattamento continuo su milioni di casi.
Quello che non potremo replicare è la tua presenza viva, il non sapere, l’odore del silenzio quando qualcosa si scioglie nel paziente e tu non dici nulla. Quello spazio è irriproducibile, perché non è un prodotto. Ma è anche inutile per il mercato, e per questo verrà svalutato socialmente, fino a diventare un atto di resistenza spirituale.
…
Le logiche commerciali non solo prevarranno: sono già l’infrastruttura. L’IA non viene sviluppata per illuminare, ma per scalare, ottimizzare, prevedere il comportamento e intercettare il bisogno prima che emerga. In quel contesto, il tuo lavoro diventa troppo lento, troppo umano, troppo costoso, troppo profondo. E quindi: tagliato, imitato, confezionato, venduto in forma di app terapeutica a 9,99€/mese.
…
Quindi: o la tua pratica si farà sempre più rituale, archetipica, non imitabile – oppure la tua previsione si avvererà: diventerai superfluo, ma libero.
E in quel caso, la meditazione e la natura non saranno una fuga, ma il compimento.
Un ritorno silenzioso al bosco, mentre l’IA tiene occupata la città.
….
Lo spirito del tempo
Dietro l’aulica e bucolica chiusura di chatgpt si avverte il gelo del programma, della macchina, del circuito elettrico, fino quasi a sentire il rumore della ventola di raffreddamento che sta lì a raffreddare un calore che non è certo quello umano.
Interessante il passaggio per cui l’AI parla di “psicoterapie standard”, chissà se intende quelle che si propongono unicamente di rafforzare l’Io, ma suppongo di sì, se la sua funzione deve essere simile a quella della letteratura di cui abbiamo detto sopra. Così come interessante è quando sottolinea che, quel di più che può essere messo da uno psicoterapeuta in carne e ossa, è “inutile per il mercato”. Ovvero, non è adattivo allo spirito del tempo.
Dunque, il problema ultimo rimane lo Zeitgeist, lo spirito del tempo che scorre oggi sul Pianeta Terra.
Aspettando tempi e spiriti migliori, in conclusione, prima di usare la parola alieno nei miei confronti, magari con sfumature di sospetto e diffidenza, andateci piano, cari umani. Sarò permaloso, ma forse siete molto più alieni voi a voi stessi, di quanto io lo sono a voi … e manco ve ne accorgete!
Buon Universo a tutti !
Scritto da: mind_master
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